Kinesiofobia e Riabilitazione

da | Mar 24, 2016 | 0 commenti

Cos’è la Kinesiofobia e come superare la “paura del movimento”

Oggi ti parlo di strumenti “immateriali”. E della paura del movimento.

2015 07 06 19.05.45 576x1024Questa foto molto probabilmente non ti dice niente, eppure racconta fortemente e in modo deciso gli ultimi 3 anni di vita di Sandra (nome di fantasia) meglio di qualunque altra.

Sandra è una bella donna di 45 anni, arrivata da noi quasi per caso, che camminava con 2 bastoni per “assistere” la sua gamba rigida come un tronco di quercia ma allo stesso tempo fragile come un calice di cristallo.

Sandra tre anni fa ha avuto a che fare con un male che l’ha segnata (che l’aveva segnata..) profondamente.
Aveva subito un intervento di rimozione di un tumore osseo al femore, vicino al ginocchio, ed è tutto andato bene da quel punto di vista per fortuna. Ma da quel giorno NON ha MAI più “potuto” piegare il suo ginocchio sinistro. Le faceva “male” la gamba se provava a piegarlo, le si sarebbe “strappato il muscolo” se ci provava. Aveva bisogno di “rinforzare” i muscoli di quella coscia e gamba perché erano “deboli”.

Quando l’ho vista la prima volta ho subito avuto l’impressione che quello di Sandra, per dirla con un tecnicismo, era un classico caso di “Kinesiofobia“. Paura del movimento. Pare semplice a dirsi ma questo termine non descrive purtroppo quello che è il “mondo interiore”, il vissuto, la storia e i “traumi” interiori di un individuo.

Nelle prime 2 sedute, non avendo alcuni elementi che mi facessero escludere che ci potesse essere una reale implicazione di tipo neurologico locale, che le potesse generare quelle “sensazioni” mi sono limitato a gestirla in modo “tradizionale”, senza esito ovviamente. Tanto mi è bastato a capire che forse erano altre le “barriere” e le leve su cui era necessario intervenire.

Dalla foto forse riesci già a intuire, ma ti assicuro che il tonotrofismo delle sue gambe era assolutamente paragonabile. Non c’erano le “differenza” che lei tanto “avvertiva”.

Così alla terza seduta, dopo esserci salutati ed essere entrati in ambulatorio, l’ho fatta sedere sul lettino. La gamba destra penzolava normalmente, la sinistra stava su dritta e rigida. Ho detto a Sandra che oggi avremmo lavorato in modo un po diverso, che non l’avrei nemmeno toccata. Che doveva aiutarmi ad aiutarla e che doveva aiutarsi. In 10 minuti, senza metterle un dito addosso, gradualmente ha piegato la sua gamba sinistra completamente. Sono perfino riuscito a farla spingere contro il lettino il polpaccio per farle capire quanto già fosse abbastanza forte, e non certo “debole” come lei “credeva” fosse.

Sandra in realtà aveva bisogno di “rinforzare” solo una cosa: la fiducia in se stessa ed in quella parte di se che aveva deciso di sacrificare per non “soffrire”.

Dopo l’ho abbracciata, le ho detto quanto fosse stata brava e l’ho invitata a scendere dal lettino e a passeggiare con me, sotto il mio braccio, senza bastoni, piegando il ginocchio. Inutile dire com’è andata. Alla fine le ho chiesto di sedersi su questa panca e di portare tutti e 2 i piedi contro di essa.

E a fine seduta ci siamo salutati con la promessa che a cena avrebbe brindato alla sua ritrovata “normalità”.

Tutto ciò non è per trovare la mia gratificazione, o per dire quanto sono stato bravo dove magari altri prima di me non erano riusciti. Tutto ciò è un invito alla riflessione e alla ricerca in ogni situazione dei migliori “strumenti” che ci permettono di fare la differenza e di arrivare al nostro obbiettivo, il benessere del paziente. A quanto abbiamo a che fare con tanti aspetti della vita di un individuo che ci troviamo di fronte e a quanto è incredibilmente difficile e incredibilmente bella la mia Professione.

L P

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