“Il dolore sociale viene elaborato dalle stesse vie cerebrali del dolore fisico”.
di Francesco Bottaccioli – Presidente onorario SIPNEI
Crescita folgorante della disoccupazione, del precariato, della povertà, pesantissime incertezze sul futuro del nostro Paese e dell’Europa nel vortice di una crisi catastrofica. Tutto questo gli economisti lo leggono in termini di andamento della Borsa, dello spread o dell’economia reale; i sindacalisti in termini di reddito e di posti di lavoro, i politici in termini di voti. Noi vogliamo mettere in primo piano la montagna di dolore che si sta riversando su di noi. Uno spread nocicettivo.
Dolore causato dall’essere cacciato dal posto di lavoro, dal non poterci entrare, dal disporre di un reddito misero o non averne per niente, dal perdere o non riuscire ad avere, pur avendone l’età e la competenza, un ruolo sociale, dall’angoscia di non poter tirare avanti dignitosamente la propria famiglia, dalla paura di perdere anche quel po’ di assistenza sanitaria che si ha. Quando si pensa a questo tipo di dolore certamente subito se ne coglie la gravità, ma lo si colloca nella dimensione immateriale della psiche. Anche le parole usate – paura, angoscia, umiliazione, svalutazione, fallimento, vuoto- sono terribili, ma non ci dicono esattamente che accade nella persona che sperimenta quelle condizioni.
Il suo è un dolore mentale o è anche un dolore fisico, come se fosse stato aggredito e malmenato? In effetti, le parole che si usano per descrivere il dolore sociale sono le stesse che si usano per descrivere il dolore fisico: “sono stato ferito” dal licenziamento, dall’indifferenza alla mia richiesta di aiuto, di lavoro, dal taglio della pensione; “è stata lesa la mia dignità”. Ferite, lesioni, colpi che non lasciano segni sul corpo, ma che, da quello che ormai sappiamo sul cervello, colpiscono le stesse aree che recepiscono il dolore fisico. Il sentimento di emarginazione dalla vita sociale viene elaborato dalle aree corticali che valutano il significato di un calcio su uno stinco (per non indicare un’altra area somatica ben nota).
Due sono infatti i circuiti del dolore che operano in modo strettamente intrecciato. Un circuito sensoriale, che ha come nodi le aree corticali somatosensoriale primaria (S1) e secondaria (S2) e la porzione posteriore dell’Insula (PI), che serve a recepire gli stimoli dolorosi di tipo fisico, detti anche nocicettivi. Un altro circuito, che ha come nodi essenziali la porzione dorsale della corteccia cingolata anteriore (dACC) e la porzione anteriore dell’Insula (AI), che elaborano il significato del dolore. È qui che il dolore viene riconosciuto, valutato ed emozionalmente “pesato”.
Studi sperimentali di notevole pregio di Naomi I. Eisenberger, del Dipartimento di psicologia del Campus di Los Angeles riassunti in una recente review, hanno dimostrato che il dolore sociale viene elaborato da questo circuito e che c’è un influenzamento reciproco tra dolore sociale e dolore fisico.
Del resto perché stupirsi: noi esseri umani siamo sociali. Il legame con il gruppo è la condizione per sopravvivere e riprodursi. L’esclusione sociale è la morte; i suoi passi intermedi causano dolori lancinanti.
Invece che prepararsi alla prossima campagna antinfuenzale, gli operatori del servizio sanitario nazionale e tutti gli altri dovrebbero attivarsi da subito per stendere una rete di sostegno a milioni di persone che sono e saranno colpite dal dolore sociale.
Ma qualcuno obietterà: possiamo noi sostituirci al governo? Ovviamente un medico o uno psicologo non possono risolvere la crisi dell’auto, ma quando si soffre, il dolore può essere lenito se si trova la mano di un amico o anche solo se si ha nella memoria la sua immagine che porge sostegno. Ma anche i professionisti della salute corrono gravi rischi. Essi sono per definizione figure d’aiuto il cui ruolo e la cui salute mentale rischiano di essere travolti dalla crisi, se rimangono prigionieri della spending review e non si fanno promotori di una health review.
Così si può immaginare di recuperare la forza per combattere insieme e uscire dal tunnel di un modello di società che sta gettando nella disperazione mezzo mondo.
Come non essere d’accordo.
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1 Eisenberger N.I., The pain of social disconnection: examining the shared neural underpinnings of physical and social pain , Nature Review Neuroscience 2012; 13: 421-434
2 Master S.L., Eisenberger N.I. et al. A picture’s worth: partner photographs reduced experimentally induced pain, Psychol Sci 2009; 20: 1316-8Fonte SIPNEI
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Un argomento estremamente interessante, che pone noi operatori del campo sanitario avanti ad una profonda riflessione che modifica completamente il nostro approccio al paziente.
Fabrizio D’Urso
L P
il 23 Novembre 2016 alle 6:48
Sono assolutamente d’accordo.
Non è mai possibile non tenere conto per chi si occupa di salute, ma non solo, delle implicazioni e delle “rappresentazioni” che il SNC elabora in ogni aspetto della vita.
Un argomento estremamente interessante, che pone noi operatori del campo sanitario avanti ad una profonda riflessione che modifica completamente il nostro approccio al paziente.
Fabrizio D’Urso
Sono assolutamente d’accordo.
Non è mai possibile non tenere conto per chi si occupa di salute, ma non solo, delle implicazioni e delle “rappresentazioni” che il SNC elabora in ogni aspetto della vita.